Il Romance secondo me
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- 19 nov 2021
- Tempo di lettura: 9 min
Regole, punti essenziali ed errori da evitare
È da qualche mese, oramai, che rifletto su un tema che, come autrice di romance, siano essi storici o paranormal o sci-fi o distopici, mi è molto vicino, lo percepisco come particolarmente urgente.
Che caratteristiche deve avere un “romanzo rosa” (nome tipicamente e unicamente italiano!) o altrimenti Romance perché si riconosca al primo sguardo? O, meglio, trovandoci dinanzi alla trama, senza che la casa editrice colori di rosa il bordo o che sia venduto in una particolare sezione di genere?
Facciamo un passo indietro.
Il Romance nasce con “Pamela, o la Virtù premiata” dell’inglese Samuel Richardson nel lontano 1740. Si tratta di un romanzo in forma epistolare, molto in voga all’epoca, che tratta dei sentimenti e delle avventure che una sedicenne, Pamela, appunto, prova e vive, stereotipo di tutte le giovani dabbene del suo secolo, puritana e fanciulla di intemerata integrità che piuttosto di vedersi sottratta la propria verginità preferirebbe morire.
Non ha in sé chissà che caratteristiche condivisibili, ai giorni nostri, nonostante lo sceneggiato “Elisa di Rivombrosa” che ne ricalca fedelmente la trama ebbe un successo epocale quando fu portato sugli schermi, ma sicuramente è un prodromo di un genere che con Frances Fanny Burney autrice di Evelina, conosce punte di satira sociale di alta qualità all’interno dello strutturato romanzo epistolare e sentimentale.
Citando Burney non posso, e non vorrei mai, evitare di menzionare la celeberrima, che adoro, miss Jane Austen la quale, pur non scrivendo espressamente per le lettrici, i suoi romanzi non hanno storie strappalacrime di orfani figli di importanti personaggi né hanno una morale preconfezionata, segna l’inizio più colto e audace del romance.
Le sue protagoniste raramente non sanno che cosa vogliono, anche quando sbagliano la via, si comportano in modo da suscitare ammirazione, mai pena, sono donne forti che si muovono in una società in cui il matrimonio era uno strumento sociale di notevole importanza, per cui devono necessariamente convolare a giuste nozze. Questo, però, non le sminuisce affatto nemmeno agli occhi di smaliziate lettrici del 2021, perché Lizzie o Emma o Elinor o Anne hanno, in sé, la forza che tutte vorremmo, il sentimento che le porta avanti è quasi sempre soggetto a crescere e migliorare e, soprattutto, lottano e soffrono come tutte noi, anche se ci separano due secoli, anno più, anno meno.
Il Romance si snoda lungo tutto l’arco del diciannovesimo secolo, con enorme difficoltà grazie alla rigida concezione vittoriana della vita e giunge al ventesimo, diventa ben presto un oggetto di consumo tra i più venduti e le case editrici che se ne rendono conto, vedono ampliare le tirature, e di conseguenza gli introiti, in modo esponenziale.
Non citerò tutte le autrici romance che mi hanno ispirata e portata a scrivere romance, ma mi accingo a descrivere come dovrebbe essere, secondo me, questo genere.
Il Romance deve seguire poche regole ma ben chiare.
Deve avere come asse centrale, portante, una storia sentimentale o “d’amore” e deve, necessariamente, portare avanti la trama con colpi di scena e possibilmente intrecci interessanti.
La storia d’amore.
Siamo dinanzi ad un romance, cioè ad un racconto o romanzo che, pur ambientato in epoca storica o meno, ha come protagonista, oltre ai personaggi, la loro vita emotiva, non è un romanzo di avventura in cui vivere le gesta di possenti guerrieri cimmeri o veleggiare su navi pirata o sconfiggere nemici a Waterlo.
È un genere, perché di questo si tratta, che ha dalla sua la narrazione dei sentimenti.
Purtroppo, una certa sotto letteratura, un cumulo di pregiudizi alto coma la Torre Eiffel e soprattutto un certo snobismo di ritorno, per il quale dire che si leggono “i romanzi d’amore”, soprattutto in Italia, fa annoverare nello stereotipo della casalinga frustrata e insoddisfatta che vuole evadere da una realtà grigia e solitaria, ha dato a questo genere una classificazione piuttosto aspra.
Mi spiego, moltissime persone leggono romance, in Italia, ma per lo più lo giustificano con “volevo leggere qualcosa di leggero”. Che non è di per sé insultante, ma che relega una certa letteratura, che di questo si parla, in un canale, quello dell’evasione, meno apprezzato di, ad esempio, quello avventuroso alla Salgari per intenderci.
Il romance è romanzo di evasione, racconto o novella o che sia, ma non per questo deve passare per gogne che lo sminuiscano. Che non ci siano tra gli scaffali di vendita prodotti dello stesso peso e caratura è ovvio, credo, ma è pur vero che questo accade con tutti e dico tutti i generi, all’interno del Giallo c’è Agatha Christie e poi c’è l’ultimo anello della scala, ma non per questo l’intero genere deve essere necessariamente classificato nella maniera che, invece, subisce il genere Romance.
Torniamo alla storia d’amore. C’è nella nostra società una certa considerazione piuttosto orba dei sentimenti, se servono per descrivere le gesta di un uomo, saranno duri e puri, la donna ne avrà paradossalmente più gentili o eroticamente ampliati. Oppure sarà quella che, alla fine, avrà fatto “il maschio della situazione”.
I sentimenti, come la morte e l’eutanasia raccolgono nella nostra società lo stesso consenso di una mosca morta in un piatto di spaghetti.
Il fatto è che i sentimenti fanno parte di noi ma una certa denigratoria educazione degli ultimi settanta anni ha reso l’espressione di questi un modo per mostrarsi fragili, come se la fragilità fosse, alla fine di ogni considerazione, qualcosa di disonorevole.
Quindi la donna è sempre destinataria di gentilezza, portatrice sana di valori tradizionali oppure la guastatrice delle famiglie e vite altrui. La storia d’amore è, niente di più o di meno, che quella che ognuno di noi ha vissuto o vorrebbe vivere.
Non vi è nell’amore, che sia puro e angelico o ancorato a sesso soddisfacente oppure una mescolanza dei due, niente di detestabile, ma provate a fermarvi e a chiedervi quando sia stata l’ultima volta che ne avete parlato con qualcuno, di amore e che cosa ne sia scaturito fuori.
Nella migliore delle ipotesi vi saranno state rifilate frasi simpatiche come un dito in un occhio che spaziano da: sono cose buone per chi ci crede, non esiste, va bene per venderci i film ma figurati, sono cose che servono solo per illudersi, non mi frega nessuno con queste sciocchezze. Oppure avrete una sostanziosa collezione di: l’amore esiste ed è forte come le montagne ma non si trova facilmente, è come gli unicorni, quando lo trovi tienilo stretto, solo l’amore salva…
Che di per sé hanno una certa sostanza veritiera ma che, su di me, almeno hanno spesso sortito l’effetto del gelato che si squaglia e cade sul marciapiede, potevo averlo e l’ho perso. Un giudizio inesorabile, definitivo.
La storia d’amore nel romance serve, invece, a darci la misura di che cosa succede e di chi siano i personaggi. Come raccontarla? In modo veritiero, l’Hemingway di Woody Allen direbbe “vero e pieno di grazia” e sono attestata su questa posizione, che sia poi fonte di guai, di disavventure o di gesta comiche o drammatiche, la storia d’amore dovrebbe essere protagonista al pari dei personaggi e per farlo deve avere radici solide e profonde e una statura adatta ad essere vista e soprattutto compresa.
Una che nasca perché l’autrice o l’autore ha deciso che i suoi protagonisti debbano finire insieme e quindi, a dispetto di tutto, la porta avanti, diventa non solo stucchevole ma assolutamente improponibile, come lo stufato di broccoli col peperoncino.
Deve esserci, nella storia d’amore, un ché di veritiero, un ché di fantastico, cioè che attinge alla fantasia, perché alla fine siamo in un genere che deve portarci a vivere quel momento e, soprattutto, deve essere possibile.
Niente segretarie orbe che conquistano il miliardario di turno o che da lui vengono fatte oggetto di comportamenti da stalker per i quali invece delle nozze dovrebbero esserci le manette.
Intendiamoci, chiunque è signora e padrona, o signore e padrone, di scriverlo, leggerlo e farselo piacere. Per me, personalmente, perché si tratta di quello che vorrei io come storia di amore in un romance, l’amore non può mai essere motivo di violenza o di comportamenti perseguibili per legge. Romanticizzare la violenza, da sempre, ma oggi in cui in Italia ogni 72 ore muore una donna per femminicidio è decisamente pericoloso, fuorviante e oltre modo insultante.
Passo indietro, quindi la storia d’amore deve essere: vera e piena di grazia, solida, possibile e anche capaci di farci sognare.
L’ambientazione.
Anni fa era d’obbligo che fosse la tenda dello sceicco nel deserto che rapiva o salvava giovani e ingenue fanciulline inglesi in cerca di avventure o scambiate per la spia di turno e, che, quindi dovevano sopportare sia il proprio che l’altrui desiderio scappando in uno scenario in cui, se non sei un Tuareg o una guida esperta, puoi solo vedertela con gli scorpioni.
Oppure l’isola del miliardario greco, sempre chiuso e scontroso, decisamente bellissimo, ma affranto perché innamorato della protagonista ma disponibile ad ammetterlo come un tifoso del Milan che dica “Forza Inter!”. O magari la segretaria candida e pura che finiva tra le grinfie del capo di turno, spesso ricco magnate dell’editoria o capacissimo di costruire imperi favolosi, come nei romanzi di Barbara Taylor Bradford o di Danielle Steell, preferisco la seconda alla prima, ma che inesorabilmente vivevano mirabolanti avventure in posti esotici, perché la vita della casalinga di una anonima provincia, come ho letto in un disgraziatissimo articolo al riguardo, non ha mai fatto sognare nessuno.
In realtà posso ambientare il romance anche in una casa sul picco solitario e starà a me che scrivo rendere quell’ambientazione non solo possibile, ma anche piacevole.
È vero che il romance soggiace alla regola: deve essere di evasione, ma è pur vero che se leggo di povere donne che di colpo sposano il miliardario e vivono a Bora Bora, più che sognare mi farà arrivare un attacco di bile. Se voglio davvero che chi legge possa sognare, devo dargli materiale per farlo anche se la storia si svolge in una dimenticata provincia cinese o nella nebbiosa, e bellissima, Brescia.
L’ambientazione, che sia una nave o che sia Venezia o che sia una cittadina del Vermont, ha il suo peso e non serve solo come scena di fondo ma dovrebbe raccontare qualche cosa di più di chi ci vive.
Dettagliare o non dettagliare?
Fornire una messe abbondante su come sia una stanza, descrivendo dalle altezze delle pareti alla stoffa delle tende, descrivere minuziosamente il servizio buono di nonna Mariella, fin nelle più intime volute del beccuccio della teiera, magari citando nomi di artisti o di venditori celebri, a me personalmente ha messo sempre addosso una noia da sbadiglio. Descrivere, sì, certo, dettagliare, sì, certo, soprattutto se l’ambiente in cui i protagonisti si muovono è lontano da noi come uno sloop del diciottesimo secolo, ma senza diventare pedanti come l’elenco di tutti i Re d’Inghilterra.
Idem per i dettagli di abiti, di gioielli, va da sé che se scrivo di un orologio Cartier del 1935 non ho detto come sia, ma dato una vaga idea, chiunque conosca o abbia mai visto qualcosa di Cartier saprà, in linea di massima, di che cosa parlo oppure ne avrà lo stesso un’impressione.
Ecco la parola chiave. Impressione, Agatha Christie descrive la biblioteca di “C’è un cadavere in biblioteca” come qualcosa di assolutamente ovvio per chiunque ne possedesse una e si ferma per due righe o poco più nella descrizione. Chiaramente il suo scopo è di agganciare chi legge con la figura della bionda platino riversa sul tappeto della biblioteca dei Bantry ma lo scopo di chi scrive romance quale è? Annoiare con elenchi minuziosi e inutili sulla forma delle maniche, dei fiocchi o delle scarpe oppure dare la spolverata che collochi in quel determinato ambiente e solo quello e lasci, a chi legge, la possibilità di non arrovellarsi in cose delle quali gli importa, si spera, assai poco?
Lieto fine o vissero infelici e scontenti?
Il romance è nato per avere il lieto fine, essendo letteratura di evasione deve necessariamente sottostare a questo scopo.
Ma possiamo renderlo lieto con un matrimonio, un ricongiungimento, una promozione che porti gioia nella vita della nostra protagonista oppure con un viaggio, con tutto quello che vogliamo, il matrimonio, oggi come oggi, non è più obbligante come ai tempi di Jane Austen o di mia nonna, a metà del secolo scorso.
Perciò a parere mio che sia lieto ma che sia la summa e il raggiungimento della crescita del sentimento e dei protagonisti all’interno della storia.
In chiusura, vi elenco, quindi, una serie di punti che secondo me dovrebbero caratterizzare un Romance.
1- Storia chiara, plausibile e ben strutturata, all’interno della quale sia i personaggi che i loro sentimenti trovano ampio spazio e possibilità di crescita.
2- Ambientazione, che siano i tropicali mari da sogno di Bora Bora o che siano le vette himalayane, deve essere possibile nel filo narrativo e non messa lì come farebbe un’agenzia di viaggi.
3- Protagonisti femminili e maschili che abbiano senso, peso, struttura e caratterizzazione che esce dagli stereotipi e che possa toccare le corde del cuore di chi legge. Stesso per gli antagonisti, che siano zie che negano l’eredità o vicende in cui le difficoltà aumentano esponenzialmente, devono possedere “verità e grazia”.
4- Personaggi secondari ben delineati, il classico informatico che serve per aiutare la protagonista a hackerare la casella e-mail del suo love interest e che è irrimediabilmente di lei innamorato, dimenticatevelo, per favore. I personaggi secondari, Mushu di Mulan insegna e bene, devono possedere un loro carattere e una loro funzione ben precisa, altrimenti la struttura dell’opera risulta zoppa o cedevole.
5- Crescita emotiva ben delineata, altrimenti siamo dalle parti del Mar dei Sargassi, con un orizzonte piatto senza una bava di vento e che non porta, appunto, da nessuna parte. Le eroine che non soffrono mai o che soffrono e lo superano subito non sono solo irreali ma anche antipatiche.
6- Colpi di scena, essenziali, per appassionare, ma che non siano una serie di gigantesche sfortune che Donald Duck potrebbe parere un pivello al confronto, ma che siano, nel filo narrativo e nel contesto, almeno plausibili. Appassionano, spronano il lettore o la lettrice e servono al punto 5.
7- Finale. Che sia aperto, come uno di quelli delle serie tv che devono per forza venderci la seconda stagione, o che sia chiuso e autoconclusivo, facciamo in modo che sia lieto, ove possibile, o carico di speranza. Perché il genere che scriviamo è un romance, non un horror.
Grazie per aver letto l’articolo, sono più che curiosa delle vostre repliche e osservazioni, nel chiudere vi anticipo che ne scriverò un altro sulla struttura di un romance storico o post apocalittico, distopico o paranormal.

(ebbene sì, abbiamo letto anche queste cose !)
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